Il ritratto di Girolama ci mostra una novella vedova dallo sguardo limpido, una “donna onesta” modestamente velata, una lavoratrice vestita in maniera semplice e disadorna, senza merletti né gioielli, con l’espressione indifesa di chi non è avvezza a posare e a essere osservata o forse prova sgomento di fronte alla sua nuova condizione (fig. 2.1). Il pittore sembra conoscere bene i tratti del suo volto e le circostanze della sua vita. La scarsa pretenziosità la fa apparire vulnerabile e ignara di essere studiata. Fervente oratoriana e membro attivo della congregazione sin dalla sua fondazione, Girolama lavorò per gran parte della sua vita insieme al marito Leonardo Parasole († 1612) e ad altri membri della sua famiglia, incidendo immagini su matrici in legno di bosso destinate a illustrare un’impressionante varietà di volumi pubblicati a Roma a cavallo del Seicento6.
A prescindere dal soggetto o dal genere, le illustrazioni editoriali erano una risorsa per un mercato dell’immagine diversificato e in espansione, che contava tra i suoi fruitori anche gli ambiziosi studenti dell’Accademia. La famiglia Parasole forniva illustrazioni xilografiche per prestigiose pubblicazioni sulle piante del Nuovo Mondo e libri liturgici canonici che dopo il Concilio di Trento dovevano essere ripubblicati, agiografie e descrizioni di martiri, rappresentazioni di iconografie arcane e immagini per testi in arabo commissionati dalla Tipografia Medicea Orientale. Ritratti di ecclesiastici e governanti e vedute della città fornivano alla famiglia ulteriori opportunità di guadagno. Probabilmente Girolama collaborò con il marito e i cognati Isabella e Rosato Parasole alla realizzazione di modellari di merletti, le opere d’invenzione più originali di questa seconda attività dell’operosa bottega familiare.
Mentre Girolama Parasole è citata e presente in alcuni atti giuridici sopravvissuti riguardanti questioni familiari e immobili di sua proprietà a Roma, la sua attività professionale e persino il suo nome risultano confusi. Nei documenti legali redatti in latino è indicata come Hieronima Cagnaccia Parasole o con varianti di tale nome. Nei rari casi in cui firma le xilografie dei libri illustrati utilizza il monogramma “G.AP” seguito dal disegno di un piccolo stilo, en pendant con il monogramma del marito, “LP” con stilo. Le due grandi stampe a foglio singolo non datate che le sono attribuite sono firmate con il suo nome latino, Hieronima Parasole. Il cartiglio posto in basso nel ritratto dell’Accademia, forse aggiunto in un secondo momento, riporta invece il suo nome in italiano insieme alla data e alla professione: “Girolama Parasoli, Sc. 1612”7: siamo di fronte all’effigie di una scultrice del legno identificata per la prima volta con il proprio nome, com’era consentito alle vedove.
Tentare di definire il talento, le competenze e persino l’opera di Girolama ci pone su un terreno scivoloso. Lei stessa non si attribuì mai l’ideazione delle stampe che noi sappiamo aveva inciso. In realtà, si muoveva in uno spazio a metà tra il mondo dell’invenzione artistica, sempre più rappresentato all’Accademia di San Luca, e l’attività di produzione e diffusione che si svolgeva nelle tipografie e nelle librerie al centro di Roma. Non sono stati ancora scoperti contratti o accordi di collaborazione che possano aiutarci a capire lo svolgimento della sua vita professionale, ma esistono documenti riguardanti quella di suo marito e suo cognato.
Le donne che svolgevano attività commerciali a Roma in questo periodo necessitavano di un mundualdus per poter stipulare un accordo. Questo parente maschio o amico di famiglia negoziava i termini contrattuali e “forniva uno strumento per affrontare quei momenti potenzialmente fuori norma nella struttura del predominio maschile in cui le donne accedevano alla sfera pubblica”8. Ecco perché, quando si cerca di ricostruire la vita professionale di una donna romana in quest’epoca, è indispensabile interpretare le fonti alla luce delle relazioni sociali e familiari per poter comprendere ciò che era socialmente e legalmente plausibile. I documenti sopravvissuti utili a tale scopo includono un atto notarile risalente agli esordi della carriera di Girolama come intagliatrice di matrici in legno per illustrare libri e la voce inserita da Baglione in un caposaldo della letteratura artistica pubblicato a due decenni di distanza dalla sua morte. Poiché essi delimitano i confini di una discussione sulla carriera e la reputazione di Girolama Parasole, si potrebbe partire da una loro lettura.
L’atto che segna l’inizio della carriera di Girolama e Leonardo Parasole come illustratori editoriali svincola quest’ultimo dall’associazione con la bottega di famiglia che praticava “l’arte di zoccholi”9. Fu stipulato nel 1585, alla morte del padre, che era arrivato a Roma da Sant’Angelo di Visso, vicino Norcia, intorno al 1572 e aveva aperto una bottega di zoccoli in legno nel quartiere delle tipografie10. Il documento mostra che quattro figli Parasole lavoravano insieme e ognuno era specializzato nelle mansioni necessarie alla gestione di una bottega che produceva non solo calzature in legno ma anche piccoli tamburi, tamburelli e cofanetti in legno. Mentre due fratelli intagliavano – e avrebbero continuato a farlo – questi oggetti, che erano il punto di forza della bottega, Rosato li dipingeva e Leonardo incideva matrici lignee per stampare le immagini usate per decorarli. Come si legge nell’accordo, Leonardo aveva già iniziato a lavorare in proprio incidendo immagini botaniche disegnate da un artista ignoto per un erbario commissionato dal medico papale Castore Durante11. Nel documento la moglie di Leonardo è menzionata ma non nominata, il che attesta che la sua dote era stata investita nella gestione della bottega, com’era già avvenuto con quella della defunta moglie di un altro fratello, e che la coppia era autorizzata a scorporare questi fondi dalla società familiare insieme alla carta, alle matrici e alle stampe relative all’erbario. Fin dall’inizio della loro permanenza a Roma, il modello sociale ed economico dei Parasole fu la bottega familiare, in cui uomini e donne di un nucleo allargato lavoravano insieme e mettevano in comune le risorse finanziarie. È essenziale inquadrare la formazione di Girolama Parasole come sculptor all’interno di questa struttura, alla quale contribuiva con le sue competenze di intagliatrice di matrici lignee a servizio di un’impresa familiare diversificata.
Il secondo documento chiave, ancorché contorto e pieno di inesattezze, fa luce sull’arco della vita professionale e della reputazione di Girolama: si tratta della voce di Baglione che includeva la famiglia Parasole tra le biografie degli artisti romani degni di nota.