Introduzione
La reputazione postuma dell’artista necessita di riguardo e attenzione […] chi ne trasmette in modo sensibile l’eredità è come un giardiniere che conosce l’ecologia dell’arte, cura ciò che resta dell’opera, bilancia l’humus di immagini, narrazione e materiali che genera possibilità di nuove letture […]. Il nostro desiderio non è disinteressato.1
—Caroline Jones
L’interesse odierno per la figura di Girolama Cagnaccia Parasole (1567 circa-1622) si deve al fatto che è una delle poche donne della prima età moderna ad aver lasciato testimonianze storiche che ci consentono di ricostruire parzialmente il suo percorso professionale di incisora e – a seconda della definizione che diamo al termine – di artista. Le rare opere firmate di cui fu autrice, un suo ritratto anonimo presso l’Accademia di San Luca e un esiguo numero di documenti relativi alla sua vita quotidiana – che perlopiù non la riguardano direttamente – possono generare prospettive diverse e per certi versi contrastanti. Gli interrogativi che ci poniamo su di lei in quanto figura storica dipendono dalla narrazione che intendiamo costruire.
In un articolo su ciò che definisce la “funzione-artista”, Caroline Jones descrive la responsabilità dello storico nel delineare una figura autoriale coerente sulla base di opere d’arte note e alla luce degli “effetti causati da iscrizioni, testi e discorsi” che restano dopo la scomparsa di un artista, osservando come l’analisi storica possa far emergere personalità diverse2. L’effigie di un’artigiana dall’aspetto particolarmente – e forse volutamente – anonimo tra i ritratti idealizzati e perfettamente studiati di accademici in gorgiera solleva la questione centrale dell’identità che gli storici vogliono attribuirle. I primi storici in ordine cronologico sono gli stessi accademici che inserirono il ritratto negli annali della loro istituzione; il secondo gruppo è invece formato da chi ha utilizzato quell’atto ostentatamente inclusivo e dirompente, insieme alle opere di Girolama Parasole giunte fino a noi, per comprendere il processo di formazione delle arti, lo sviluppo dell’incisione come forma artistica e l’opportunità di inserimento nel mondo dell’arte che essa ha offerto alle donne. Come vedremo, queste due narrazioni potrebbero essere in contrasto tra di loro.
Dagli inizi del Cinquecento, le responsabilità autoriali nella creazione di immagini stampate venivano indicate in modo distinto. Chi ideava l’immagine era identificato sulle stampe con la parola invenit, chi la copiava su una matrice con disegnavit, e chi la incideva su rame o su legno con sculpsit o incidit. L’attribuzione della competenza nel disegno, determinante nel definire ciò che fosse un artista, venne distribuita tra diverse categorie privilegiate da Giorgio Vasari e, di conseguenza, riconosciute anche dall’Accademia delle Arti del Disegno a Firenze e dall’Accademia di San Luca a Roma. Giovanni Baglione si adoperò per riconoscere agli incisori, che non erano necessariamente inventori, lo status di professionisti del disegno. In conclusione delle Vite de’ pittori, scultori et architetti (1642), il più volte principe dell’Accademia di San Luca aggiunse una breve sezione sugli “intagliatori” che consentiva a chi incideva invenzioni altrui di essere compreso nella concezione accademica di artista3.
La sua scelta di inserire la famiglia Parasole nelle Vite appare singolare, dal momento che si dedicavano principalmente all’illustrazione libraria e non realizzavano stampe a foglio singolo, tranne che per due notevoli eccezioni per mano di Girolama. Baglione comincia col difendere l’inclusione degli incisori tra gli artisti:
Sogliono, ò Signor mio, esser’anche intendenti di disegno i buoni Intagliatori d’acqua forte, o di bulino; e però tra Dipintori possono havere il luogo; poiche con le loro carte fanno perpetue l’opere de’ piu famosi maestri: e benche le fatiche loro al cospetto del publico non sempre sieno stabilie, e si mirino, pure non si può negare, che li lor fogli non nobilitino, & arrichiscano le Città del Mondo. Anzi alcuni Artefici di Pittura, in fin essi hanno d’acqua forte, o di bulino le proprie opere intagliare, e come erano Pittori, così anche Intagliatori furono; & in loro queste Virtù hebbero commune il vanto, & indistinta la lode4.
Ciò avvalora la tesi di Susan Nalezyty, secondo cui Girolama era importante per l’Accademia poiché forniva incisioni utilizzate come modelli dagli studenti, che gli accademici speravano di formare nello stile dei migliori maestri5.
Girolama, tuttavia, non era certo la più in vista tra gli incisori citati da Baglione – anzi, egli non la cita affatto. Qual era allora il suo apporto specifico nella galleria degli accademici che, al pari delle Vite di Baglione, tracciava intenzionalmente una storia dello sviluppo delle arti a Roma?
Esaminando la presenza di Girolama Parasole tra gli accademici alla luce di ciò che sappiamo della sua formazione, della sua attività professionale e delle sue relazioni, si pone a confronto un’idea inevitabilmente teorica speculativa circa le sue ambizioni e opportunità in un contesto sociale e professionale in rapida evoluzione, con l’ipotetico vantaggio che l’Accademia poteva trarre dall’inserire nella propria storia quel particolare ritratto di una donna che intagliava le matrici di legno con immagini create da altri e destinate alla stampa.
Immagine di copertina: Girolama Parasole dopo Antonio Tempesta, Battaglia tra Lapiti e Centauri, n.d., incisione, The Art Institute of Chicago, The Amanda S. Johnson and Marion J. Livingston Fund, 1999.684