IV. I notai

  • Antonia Fiori

La grande diffusione della formula camerale nei contratti, e la rapidità della procedura, creava una enorme mole di lavoro che, di fatto, gravava quasi interamente sugli uffici notarili48. Essi svolgevano spesso un ruolo di supplenza nei confronti dei giudici, i quali si limitavano in alcuni casi ad apporre firme in bianco su carte che poi i notai trasformavano in provvedimenti giurisdizionali. Specialmente in questi giudizi, diceva Sallustio Tiberi, “notarii debent esse oculi Iudicis”49.

Era dinanzi ad un notaio che iniziava la procedura in forma Camerae. Nel rogare un contratto di mutuo, o di locazione, o di censo, o comunque relativo ad una obbligazione pecuniaria, il notaio apponeva le clausole tipiche, che consentivano l’executio parata. Il suo lavoro accompagnava poi ogni passaggio della procedura esecutiva.

A differenza di quanto avveniva con gli strumenti guarentigiati, che contenevano in sé l’atto di precetto, nel caso delle obbligazioni camerali al notaio non era formalmente delegata alcuna giurisdizione50. I mandati esecutivi erano di competenza del giudice e la legislazione pontificia non prevedeva deroghe a questo principio. La routine intensa e ripetitiva dell’esecuzione delle obbligazioni in forma Camerae però, non consentiva che ogni provvedimento giurisdizionale necessario a perfezionare le varie fasi della procedura potesse essere effettivamente realizzato dal giudice secondo le formalità richieste.

La maggior parte degli atti erano perciò, di fatto, compiuti dai notai del Tribunale51. Solo in casi particolari, nei quali l’intervento dell’autorità giudiziaria era assolutamente indispensabile – come nell’emanazione di decreti definitivi – il requisito della forma scritta ad nullitatem era soddisfatto dalla firma del giudice in calce all’annotazione del notaio, fatta nel suo brogliardo, il Liber actorum notariorum.

Con l’andare del tempo, lo stylus del Tribunale relativo all’esecuzione delle obbligazioni camerali si andò ampiamente modificando, e i cambiamenti più significativi finirono per attribuire una sempre maggiore autonomia ai notai attuari (ossia del Tribunale)52. Di pari passo con tale autonomia, crebbe anche la fiducia che l’Uditore doveva—di necessità—riporre in loro.

Espressione di questa grande fiducia era il fatto che l’A.C. e i suoi Luogotenenti civili firmassero abitualmente in bianco carte, che solo successivamente venivano trasformate dai notai in provvedimenti giurisdizionali. In concreto erano perciò gli uffici notarili a rilasciare – a seconda delle esigenze – monitori o mandati esecutivi, o addirittura censure ecclesiastiche, senza bisogno di ricorrere nuovamente al giudice.

Laddove possibile, il notaio guidava la procedura integrandola negli elementi mancanti, e le integrazioni divennero nel tempo costanti e conformi ad uno stile.

Ad esempio, inizialmente la comminazione delle censure avveniva attraverso l’apposizione di una formula, vergata di propria mano da uno dei giudici del Tribunale in calce all’obbligazione o all’annotazione del notaio nel suo broliardo. Con l’andar del tempo era però invalso l’uso che i giudici, in un qualsiasi giorno d’udienza, si limitassero a firmare il testo scritto dal notaio nel suo broliardo53.

Allo stesso modo, la confessione del debito da parte del procuratore — che avrebbe dovuto svolgersi dinanzi ad un giudice dell’A.C. — e la presenza del procuratore al momento della stipula del contratto erano indicate fittiziamente dal notaio come avvenute, ma venivano di fatto eluse per non creare disordine negli uffici già affollati54.

Erano insomma le esigenze pratiche a determinare in concreto il procedimento, e i notai a indirizzarlo in base ad esse. Le funzioni giurisdizionali del tribunale erano di fatto condivise con i suoi notai attuari, benché ad essi formalmente non attribuite.