II. Un’attività redditizia: La giurisdizione sull’obbligazione camerale dell’Auditor Camerae, della Curia capitolina, del tribunale del Vicario e degli altri

  • Antonia Fiori

La procedura esecutiva che nasceva dai contratti dotati di formula camerale era riservata – almeno teoricamente – alla giurisdizione di un organo giudiziario nato da una costola della Camera Apostolica, e poi divenuto indipendente: il tribunale dell’Auditor Camerae (d’ora in poi A.C.)19. Era un giudice ordinario dotato di poteri immensi, tanto da esercitare sia il gladio secolare che quello spirituale. Le sue prerogative vennero definite per la prima volta nel 1485 da Innocenzo VIII, con la bolla Apprime ad devotionis20.

Il suo ufficio era composto di un certo numero di giudici, luogotenenti civili e militari, e da un’articolata struttura notarile che arrivò a comprendere fino a dieci uffici. La sede era, dopo la creazione da parte di Innocenzo XII alla fine del Seicento della cd. Curia Innocentiana, il palazzo di Montecitorio.

Gli uffici dell’A.C. erano sempre oberati di lavoro e la loro attività più remunerativa, da cui di fatto dipendevano economicamente, consisteva proprio nella redazione dei contratti in forma Camerae e nella loro esecuzione forzata. Proprio perché si trattava di un’attività molto redditizia, diversi tribunali contesero all’A.C. questo privilegio.

Per salvaguardare le prerogative dell’A.C., nel 1513 Leone X indicò la giurisdizione sulle obbligazioni camerali come esclusiva dell’Auditor Camerae. Nel motu proprio Iniunctum21 egli diffidava qualsiasi altro giudice dall’occuparsene, sotto pena di scomunica e di sanzioni pecuniarie. L’unica deroga era prevista per l’eventualità che questioni inerenti un’obbligazione camerale fossero sorte nel corso di un diverso processo, ed allora era concesso che in quella stessa sede giudiziaria il contratto avesse anche esecuzione.

L’intervento di Leone X ebbe però poco successo: lo stesso papa lamentò dopo pochi anni che, con diversi pretesti, la giurisdizione esclusiva dell’A.C. continuava ad essere insidiata22.

Furono perciò necessari ulteriori provvedimenti pontifici. Pio IV se ne occupò nel 1561 con la costituzione Ad eximiae devotionis23 e nel 1562 con la costituzione Inter multiplices24 Per la prima volta parlò espressamente di “privativa” sulle obbligazioni camerali e concesse uno speciale privilegio ai romani.

In via generale, infatti, in base a quanto stabilito da Sisto IV nel 147325, la giurisdizione sugli abitanti e i cittadini laici di Roma era della Curia del Senatore, e che quella sui chierici romani del Vicario papale. Le cause di obbligazione camerale erano però riservate all’A.C.

Pio IV, invece, concesse ai romani la possibilità di chiedere l’esecuzione delle obbligazioni in forma Camerae anche dinanzi alla Curia capitolina. Il privilegio, già accordato con il motu proprio Dilectos filios senatorem26 e confermato nella Ad eximiae devotionis27, venne inizialmente aggiunto in appendice all’edizione dello Statuto romano del 1567, poi, a partire dallo Statuto gregoriano del 1580, le sue disposizioni confluirono nel cap. 41 (De foro competenti) del libro I.

Il privilegio di Pio IV era un evidente segno di rispetto per il Comune, e fu confermato dai pontefici successivi. Anche se, secondo Giovanni Battista De Luca, i romani continuarono a preferire l’A.C. per le obbligazioni camerali, per via della sua alta specializzazione28.

Pio V aprì invece alla giurisdizione del tribunale del Vicario sulle obbligazioni camerali. Lo fece, inizialmente, con il motu proprio Considerantes del 156629, in relazione alle persone ecclesiastiche ed ai loca pia, e vi tornò al momento della riforma del tribunale dell’A.C. introdotta il 20 novembre 1570 con il motu proprio Inter illa30. Stabilì che – pur nel riconoscimento dell’esclusiva competenza dell’A.C. quanto alla cognitio ed alla executio delle obbligazioni camerali – i debitori, quando cittadini romani laici, avrebbero potuto essere convenuti dinanzi alla Curia capitolina, mentre se chierici, romani per origine o per beneficio, si sarebbe ad essi applicato il principio della prevenzione tra A.C. ed ufficio del Vicario: ovvero il giudice adito per primo avrebbe potuto proseguire la causa.

Paolo V confermò questa regola con la costituzione Universi agri dominici (1612)31. Nonostante la norma rappresentasse, secondo il comune giudizio, la definitiva sistemazione della materia, dopo sessant’anni la giurisdizione del Vicario sulle obbligazioni camerali iniziò a divenire oggetto di altalenanti riforme: fino al 1742, quando con la costituzione Quantum ad procurandam, Benedetto XIV riportò la giurisdizione del Vicario entro i confini fissati dalla riforma di Paolo V32.

Per quanto riguarda le obbligazioni camerali contratte da romani, dunque, entravano in gioco il tribunale del Vicario nel caso di chierici, il tribunale del Senatore (la curia capitolina) per i cives laici.

Ai provvedimenti pontifici sulla giurisdizione in materia di obbligazioni camerali, bisogna aggiungere l’indirizzo giurisprudenziale della Rota romana che, nel corso del Seicento, limitò ulteriormente la privativa dell’A.C. all’interno della Curia, sostanzialmente escludendo che l’A.C. potesse riassumere cause di obbligazione camerale introdotte dinanzi ad altri tribunali extra Romanam Curiam.

La privativa, in fin dei conti, venne rispettata assai poco: la violavano il tribunale del Camerlengo e la Camera Apostolica, “prorettori e giudici delle basiliche, ospedali, chiese, congregationi e luoghi pii”, i consoli delle arti e dei mercanti senza averne alcun titolo e, nel caso di obbligazioni camerali stipulate da detenuti, se ne occupava il Presidente delle Carceri anche dopo la loro scarcerazione.

Persino il Reggente di Cancelleria si riteneva giudice ordinario nelle cause d’obbligo camerale. Inoltre, la giurisdizione dell’A.C., insidiata dagli altri giudici romani, era contesa anche dalla Congregazione del Buon Governo33,che finiva per occuparsi delle obbligazioni camerali nelle cause riguardanti debiti contratti dalle comunità. Insomma, dentro e fuori la città di Roma l’obbligazione camerale sembrava essere in mano a qualsiasi giudice34.

Per quanto attiene alla documentazione relativa all’Accademia di San Luca, tra i moltissimi atti raccolti nel sito The History of the Accademia di San Luca, c. 1590–163535 numerosi sono gli instrumenta dotati di formula di obbligazione camerale rogati da notai capitolini. Come abbiamo visto, i cittadini romani potevano richiedere l’esecuzione delle obbligazioni camerali tanto all’A.C. quanto alla Curia capitolina. Non si può però escludere che parte delle obbligazioni camerali dell’Accademia siano state gestite dal Vicariato, posto che essa, in quanto congregazione e conformemente alle disposizioni tridentine, al suo nascere era stata affidata da Gregorio XIII alla giurisdizione del Vicario36. Sappiamo anche che nel 1606 il cardinale vicario Girolamo Pamphili aveva nominato il giurista Guazzino Guazzini come giudice delle cause tra i membri dell’Accademia37, senza tuttavia fare alcun espresso riferimento alle obbligazioni camerali.