I notai che lavorarono per le associazioni dei pittori variamente denominate negli anni che vanno dal 1590 al 1630 depositarono nei loro protocolli gli atti e i verbali delle assemblee da loro prodotti, con poche eccezioni. Come abbiamo visto, questi anni furono segnati da una trasformazione nel modo in cui venivano trattati e valorizzati i protocolli notarili, oggetto di una nuova e scrupolosa attenzione da parte dello Stato e di possibili investitori. In questi decenni a Roma sorsero frequentemente tensioni e conflitti all’interno della comunità degli artisti e dei lavoratori dell’arte, che spesso ebbero come oggetto i documenti più importanti per le rispettive organizzazioni, siano esse universitas, collegio, congregatio, societas, o accademia. A parte le numerose revisioni, in gran parte pacifiche, delle regole di funzionamento dell’accademia, non mancarono gli assalti all’archivio di San Luca. Anche l’inventariazione ossessiva del contenuto degli armadi nelle stanze dell’accademia tradisce una certa ansia rispetto al suo controllo. In un contesto di tali appassionate vicende, i notai dell’accademia dovevano probabilmente fornire il proprio importante contributo rimanendo sullo sfondo: essere presenti, testimoniare, verbalizzare, trascrivere, copiare, archiviare e rilegare. In una città caratterizzata da un grande movimento di persone, anche il gruppo dei notai era necessariamente in continua evoluzione: comparivano e scomparivano con efficiente agilità. Evitando di apparire in prima fila, i notai prestavano attenzione e poi si eclissavano. Sui loro scaffali si accumulavano silenziosamente i protocolli che segnavano il loro successo come funzionari venali. Fortunatamente nessuno li notò e la loro testimonianza riguardo ai primi anni dell’accademia si sarebbe conservata al sicuro per i successivi cinque secoli.
Conclusione
- Laurie Nussdorfer