Un controllo più rigoroso delle pratiche di scrittura comportò un maggior lavoro e quindi un numero più alto di scrivani, generalizzò inoltre l’uso dell’indice nei protocolli notarili romani, cosa che ha reso più semplice il compito di trovare gli atti e le riunioni di associazioni di artisti come l’Accademia di San Luca. Tuttavia, il rigore delle regole statali non si estendeva agli usi linguistici e, come abbiamo visto, spesso toccava ai dipendenti subordinati decidere quale nome dare a un cliente societario negli atti notarili. Confraternita (societas) e corporazione (universitas) erano termini familiari e convenzionali, ma come chiamare modalità di associazione inedite o nuove formazioni? L’indice di Ottaviano Saravezzi per il primo volume del 1593 elenca la riunione del 7 marzo 1593 come una congregatio (“congregatio pictorum”), cosa che, nel senso generale del termine di assemblea, corrispondeva certamente alla realtà40. Il notaio e i suoi impiegati preferivano un approccio non discriminante, optando per l’utilizzo di più titoli contemporaneamente, e di conseguenza li vediamo spesso accoppiare “collegio et universitas” (1589), “collegio et societas” (1600), o “collegio et accademia” dei pittori (1626)41: un’inclusività che probabilmente denota un significato più profondo. Generalmente, membri dissidenti o scontenti di un gruppo erano soliti rivolgersi a un notaio differente quando determinati a intraprendere una nuova strada. I promotori dell’iniziativa che portò all’assemblea del marzo 1593 continuarono invece ad avvalersi dei servizi del notaio Saravezzi, lo stesso che da alcuni anni lavorava per la corporazione e per la confraternita dei pittori. Questa continuità implica la volontà dei fondatori dell’Accademia di Roma di attuare una riforma dall’interno piuttosto che un desiderio di scissione volto alla formazione di una organizzazione ex novo per gli artisti42.
Per più di vent’anni la corporazione, la confraternita e l’accademia dei pittori si servirono dell’ufficio 11 di Saravezzi per riunioni, atti commerciali e controversie43. Quando dal 1594 al 1600 Ottaviano scomparve misteriosamente dal collegio dei notai capitolini, gli artisti assunsero Marco Aurelio Saravezzi, e quando Ottaviano tornò nel 1600 rimasero con lui e con il suo successore Alessandro Saravezzi, fino al 1609. Ai notai piaceva avere clienti istituzionali e soprattutto essere formalmente incaricati di assumere la funzione di segretario di un’associazione. Nell’epoca della venalità, tali cariche accrescevano il valore dell’ufficio. I notai che erano stati nominati segretari di un gruppo societario ricevevano spesso un acconto annuo e avevano quindi un reddito stabile garantito. Inoltre, da tali incarichi potevano scaturire affari supplementari quando i membri si recavano per le proprie esigenze personali dallo stesso notaio che avevano conosciuto nelle adunanze delle confraternite o nel tribunale della corporazione. La corporazione dei falegnami lo esigeva addirittura dai suoi membri, come forma di compensazione per il proprio notaio44. Alcune istituzioni, come ad esempio l’ospedale del Santissimo Salvatore di Roma, offrivano un mercato così vincolante riguardo la redazione di documenti, da vendere il diritto di esserne il segretario al miglior offerente45. Sebbene i numerosi statuti revisionati dell’Accademia di San Luca non citino il notaio come segretario, Erasto Spannocchia si identificava come tale46. Nel 1623 Spannocchia patteggiò con la “confraternita o Accademia” degli artisti una provvigione annua di 3 scudi47. Non ci sono dubbi che ci fosse un rapporto duraturo tra le varie associazioni di pittori e alcuni particolari uffici notarili capitolini, questa infatti era la norma a Roma. Era logico che un’istituzione si affidasse a un solo ufficio, soprattutto quando la pratica comune era di citare gli atti con data e protocollo del notaio piuttosto che pagare per avere una copia personale48.
A dispetto del loro lungo legame con l’ufficio 11 di via del Gesù, nel 1609 gli artisti passarono all’ufficio 15, situato a poca distanza, subito a est di piazza Sant’Eustachio, presso il quale mantennero la loro attività per i successivi venticinque anni. La morte di Ottaviano Saravezzi, che si presume sia avvenuta qualche tempo dopo il 1607, potrebbe non essere l’unica spiegazione per questo spostamento, visto che alla fine degli anni novanta del secolo precedente, quando il titolare era Marco Aurelio Saravezzi, i pittori avevano continuato ad affidarsi al suo studio. Oltretutto, nell’autunno 1624 non mostrarono alcuna reazione alla morte del loro segretario Spannocchia, in un periodo molto attivo di riunioni e decisioni, e rimasero fedeli all’ufficio 15 quando tre anni dopo passò per un altro cambio di padrone. Come spiegare l’improvviso passaggio a un nuovo notaio nel 1609?
Questo gesto sembra segnare un cambiamento di rotta rispetto alla pratica in base alla quale i dissidenti si recavano da un notaio diverso quando avevano rimostranze da fare. I dettagli sono confusi, come è spesso il caso nella storia dei primi anni dell’accademia, ma ci portano a credere che il mandato di Gaspare Celio come principe (direttore) dell’accademia nel 1609 abbia rappresentato il punto di rottura. Celio fu al centro di un intenso conflitto all’interno dell’associazione degli artisti, come chiarisce una ben nota supplica (non datata) al papa da parte della corporazione dei pittori49. La petizione chiese al pontefice di ordinare al giudice Guazzini de Guazzinis del tribunale del cardinale vicario che era competente per i pittori, di punire Gaspare Celio. I pittori lo accusavano di aver fatto irruzione nell’archivio della confraternita di San Luca e di averne sottratto i documenti. Insinuavano che lui fosse un principe illegittimo, e lo accusavano inoltre di creare nuove regole (capitoli) “contro la libertà e il bene pubblico” e di affiggerle pubblicamente senza il consenso della collettività. Anche se mancano ulteriori dettagli su questa presunta campagna di manifesti avviata da Celio, all’inizio del 1609 il principe si assunse con orgoglio la responsabilità di stampare gli statuti dell’accademia del 1607, piuttosto autoritari. Nell’ultima pagina della prima edizione degli statuti dell’accademia, scrisse di proprio pugno: “Io Gasparo Celio, ora principe dell’Illustrissima Accademia de’ Pittori di Roma, feci stampare il presente volume a richiesta di tutta l’Illustrissima Accademia, e lo confermo di mia mano oggi 27 gennaio 1609”50. Quel che accadde mette in dubbio il fatto che “tutta” l’accademia avesse davvero avanzato una tale richiesta.
Pochi mesi dopo, il 12 maggio 1609 quattro membri della “congregazione generale” di San Luca si presentarono nell’ufficio 11 di Alessandro Saravezzi per nominare un avvocato, Severo Particelli, che si occupasse della controversia51. Il 3 giugno il loro camerlengo fece un pagamento “a nome dell’Accademia e congregatio” a tale Giuseppe Cidonio per rappresentarli davanti al giudice Guazzini de Guazzinis52. Questo documento del 3 giugno 1609 è l’ultima traccia dei pittori nell’ufficio notarile 11. La successiva transazione dell’accademia che riporti una data, una obbligazione per una stima di routine del 23 luglio 1609, si trova presso l’ufficio 15 di Giovanni Antonio Moschenio, così come i successivi atti, azioni legali e riunioni53. Poiché il romano Moschenio era il notaio personale di Celio, sembra probabile che quest’ultimo, vendendo i pittori tutti uniti contro di lui, ritenesse che l’unico modo per mantenere il potere fosse spostare l’attività dell’accademia presso un notaio a lui fedele54. Moschenio si dimostrò però appetibile anche per gli altri soci e conquistò così pienamente la loro fiducia tanto che per sei anni fu anche il loro tesoriere (camerlengo), caso rarissimo nei rapporti notarili con i clienti istituzionali55. Moschenio non fu l’unico tra i protagonisti di questa vicenda a sopravvivere all’eclisse di Celio dopo il 1612. Colui che consegnò al papa la petizione contro Celio, Agabito Visconti—membro documentato della confraternita dei pittori dal 1595—era ancora profondamente coinvolto nell’incontro dell’8 gennaio 1619, quando fu scelto come uno dei due rappresentanti della confraternita incaricati di riscrivere gli statuti del 161756.
Ormai era subentrato nell’ufficio 15 il notaio capitolino Erasto Spannocchia di San Polo in Sabina. Il suo nome compare per la prima volta nel gennaio 1618 in un documento riguardante l’affitto degli edifici attigui alla chiesa dei pittori; morì nell’estate o all’inizio dell’autunno del 1624. Sotto Spannocchia, o forse più tardi, i verbali delle adunanze per il periodo 1618-1621 non furono rilegati nei protocolli ma raccolti in un volume a parte, ora nell’archivio dell’Accademia di San Luca, secondo una prassi che si riscontra sporadicamente presso le altre corporazioni romane57. L’ufficio di Spannocchia doveva essere ben gestito, perché gli strenui contrasti sulla forma e sulla guida dell’accademia che segnarono il 1624, anno in cui Antiveduto Gramatica fu forzatamente sostituito come principe da Simon Vouet, continuarono a essere ininterrottamente registrati da uno staff che aveva perso il proprio padrone58. Il successore di Spannocchia fu per breve tempo Lorenzo Tigrino, documentato per la prima volta al lavoro per i pittori nel giugno 162559. Nel 1627 Tommaso Salvatore da Spoleto, che nei successivi vent’anni fece del n. 15 uno degli uffici più attivi a Roma, firmava documenti come sostituto di Tigrino60.